Poesie, Racconti e Musica d’autore

"Scrivere poesie non è difficile; è difficile viverle." (Charles Bukowski)

Viviamo assieme una poesia, un racconto, una canzone o un quadro d'autore, lasciate un vostro commento ai post, per noi sarà un piacere leggervi.

Preghiamo gentilmente tutti quelli che postano il loro commento scegliendo l'opzione 'Anonimo' di blogger di firmarlo, grazie. ros e massimo

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sabato 31 ottobre 2009

Notturno di PIETRO VIZZINI

Scrutano mille sguardi
dalle finestre socchiuse a sera
lampioni accesi
gettano luce
fili di seta spettrale,
sui muri parlano
ricami di giovani
che non usano voce,
graffiti e silenzi
carezze selvagge
disegnano corpi,
asfalto bagnato
pioggia di luna rossastra
si prende gioco di me.
Notturno sospiri di carne
tocco di dita roventi
scivolano smaniose
palpitando gemiti.
Movenze di danza
delineano spazi circostanti
traiettorie allungate
da passi slanciati
oscillano sulle punte.
Osservo una vetrina
oggetti bizzarri
silhouette di carta
rumore di tacchi sul selciato,
rincorro la mia ombra
sul marciapiede destro,
pensiero notturno
lungo la strada che mi porta a te.


Questa poesia nasce dal desiderio di raccontare le sensazioni provate una sera, nell’attesa d’incontrare il mio amore. L’ambiente notturno ha un fascino particolare, direi magico, le luci hanno quella tonalità morbida, a volte spettrale, la notte è un luogo dove si esprimono i pensieri di chi non usa voce, in un percorso immaginario popolato di cose e di corpi che spiano, che si toccano, dove poter scrivere lasciando il segno di sé, amando, danzando come se fosse un teatro aperto alla strada; osservare oggetti bizzarri, seguire traiettorie rincorrendo la propria ombra, come cercare di trovare se stessi in quel pensiero che porta all’amore



venerdì 30 ottobre 2009

Chignon di tango di ANGELA OLINO















Chignon di tango

È fuori dal vero la tua lacrima
scende lenta in forzate brezze di fiato
non puo’ rientrare nel solco richiuso
ne spaventa la forza facilitata del patire

Un affanno inutile il lamento
è udito dal solo tuo accordo
tra le mine disseminate di terreni ostili
ne contrae il registro intenso del ritardo

Una notifica di farsa la tua immagine
giustificata dalla rovina di un ‘avventura
in attività riesaminate senza condotta
quale azzardo di un tenace banditore

La tua sorte sembra incitarti
di presenze eclatanti senza timori
nel profumo intenso del cabernet rosso
segnandone il consumo indecente in infiniti sorsi

Che genio il tuo ingegno!

Inesperta a fronteggiare le tue mosse
distendo l’invasione del dominio
raggiungendo il posto nei miei abiti fidati
in chignon di raso nelle mani del tuo tango


Il ritmo di parole che sole vagano alla ricerca della danza...io osservo il mondo alla velocità dei miei desideri ...le percepisco in perfezioni di suoni e poi le disegno attraverso il fuoco delle mie mani...un tango non è solo un ballo una poesia non è solo un insieme di versi...l'emozioni si.....sono quelle che entrano dentro senza lasciarsi oltrepassare! (Angela Olino)


giovedì 29 ottobre 2009

Stanotte di BRUNO ZAPPARRATA

















Stanotte

Eco 'e nu tiempo
'e quanno cu sti mmane
scavavo 'a terra
semmenanno suonne,
vulanno dint''o ffuoco
'e nu tramonto,
straccianno fantasie
e malincunie
d'uocchie frunnate
'a dint''a na poesia...
Nun hè nzerrà chist'uocchie;
no, nun tremmà stanotte;
luce ca cerca 'a luce
dint''a luce,
st'anema stracqua pe na vita ncroce.
Notte si' scura ma...
nun faie paura...
pure si 'a luna chiagne
o si na stella è morta...
Nun hè nzerrà chist'uocchie
e nun tremmà stanotte...

Questa volta è una poesia intimistica, una poesia nata per un rapporto tormentato da chi vede e non vuol vedere, da chi sente e non vuol sentire. Il ricordo delle pazzie fatte per avere un amore aprono questa poesia e ne prendono una buona parte. E' c'è l'invito a non tremare, a non aver paura ma la luce che cerca nella luce non è altro che l'affetto l'amore che diventa astratto in un rapporto quasi chiuso, ma anche un susseguirsi catastrofico come il pianto della luna o di una stella morta non fa arrendere l'innamorato che sfida il buio della notte ricordando alla donna amata di non chiudere gli occhi, di non sottrarsi all'evidenza e di non tremare ancora una volta per questo affetto alla fine ma sempre in guerra senza sosta. Poesia sintetica, ridotta all'essenziale e mi rifaccio al giudizio di tanti critici autorevoli che hanno scritto sempre che la poesia è sintesi.





Postata nei commenti trovate la traduzione della poesia fatta dalla stesso autore.

lunedì 26 ottobre 2009

Oggi festeggio (prosa) di Guido Passini

Oggi festeggio. Festeggio i due anni dal pneumotorace che ha dato una svolta decisiva alla mia vita. Non so dire ancora quanto sia cambiata in meglio e quanto in peggio, so solo che sono cambiato. Festeggio due anni vissuti all’insegna della paura, del crollare ad ogni piccolo dolore al fianco, festeggio i giorni passati con ossigeno e flebo al braccio, festeggio i giorni all’insegna del cortisone, di come ti sconvolge la fame, di come ti spinge a mangiare ogni mezz’ora. Festeggio i repentini cambi d’umore appena il tempo varia. Festeggio le notti passate insonni con il fiato strozzato, dove l’unico modo di dormire è quello di stare seduto perché lo sforzo è immane. Festeggio le notti passate a sudare freddo, cercando in tutti i modi di rompere il fiato. Festeggio gli inganni di una malattia che si nasconde, si mostra e ancora si nasconde. Festeggio, festeggio sempre, ogni cosa succeda, perché è un giorno in più da vivere. Festeggio i tanti sogni andati a quel paese, perché il fisico non riesce a reggere a tutti gli sforzi cui lo vorrei sottoporre.
Vorrei correre forte nel vento, ma sono anni che non lo faccio, vorrei tornare in palestra e forzare all’inverosimile fino a sentirmi sfinito, senza il timore che qualcosa si rompa dentro. Vorrei tornare a tirare pugni a quel maledetto sacco rosso pieno di sabbia, che tanto ha sfogato la mia rabbia. Vorrei guardare le porte dell’inferno e girare i tacchi e innalzarmi con nuove ali d’argento.
Festeggio la mia prima poesia, festeggio la voglia di tornare a rinascere, festeggio per le tante persone incontrate, e festeggio per quelle che ancora conoscerò.
Cosi con lo sguardo perso nel vuoto, con gli occhi rossi per il pianto, mi perdo nel ventre della vita, sospirandola. In questo giorno sono solitario, voglio sentirmi in pace, voglio conservare il mio corpo anche solo per un secondo, lontano dalla realtà. Mi carezzo la cicatrice, non fa male esteriormente, ma nel toccarla ne sento il rigonfiamento e sale la rabbia, una rabbia convulsa, che non lascia scampo alla mente. Cosi cominciano i se, i forse, i perché. Riaffiora la sensazione di lama calda che scalfisce il corpo,
l’effetto di un’anestesia che non fa effetto per la troppa ansia, un maledetto tubo di gomma conficcato nel fianco, legato con un filo per tenerlo fermo. In questo giorno ho paura, ho paura di aver esaurito il credito verso Dio, di aver avuto la mia chance ed ora sta a me proseguire. Ho la testa che mi gira, mi sento spaesato per un attimo e mi siedo, le gambe tremano, le mani si fanno fredde e sudate, una piccola scossa e la mia testa finisce tra le mani. Chiudo gli occhi e un fastidioso luccichio si fa spazio nel buio del mio silenzio.
Risollevo il capo e sbuffo alleggerendo la mente. Per questo festeggio, perché quel giorno la stronza ci ha provato, ha iniziato il suo lavoro truce, mi ha piegato, ma sono risalito. Ho bruciato la bandiera che ha conficcato nel mio stato. Quanti di voi hanno affrontato questo potranno capire lo stato d’animo con cui mi presto a scrivere queste righe, quanti di voi hanno affrontato questo sanno quanto vale la risalita.
Mi chiedo spesso ancora quanto devo sopportare, quanto dolore dovrò ancora purgare, quanto respiro dovrò ancora spendere. Mi chiedo se avrò la forza di continuare in questa lotta, mi chiedo se un giorno tutto avrà fine, mi chiedo se davvero tutto potrà cambiare. Ho i miei ideali, costruiti giorno dopo giorno, ho le mie idee e nessuno può cancellarle. Ho una visione del mondo che mi circonda tutta mia, e ancora non so se è giusta o sbagliata. So solo che oggi festeggio, senza trombette senza coriandoli, senza candele da spegnere, senza una torta da mangiare, ma solo un grande vuoto dentro che brucia e ancora non so spegnere.

domenica 25 ottobre 2009

Priggiuniera d' o'core di MASSIMO IMPERATO

Jesce 'a sta vita mia.
Muovete! Fa ampresso.
Truovate l'uscita. Vattenne.
M' è scumbinato 'o core,
l'è miso sott' e 'ncoppa
e mo nun saccio cchiù
manco addo sta 'a porta.
Truovate nu purtuso,
jesce nun sta cu me.
L'aggio capito
ca cchiù nun te ne 'mporta,
me guarde sempe stuorto
e me vuo' vedè muorto.
Ma a d'into 'o core
ancora nun si asciuta.
Allora saje ca faccio?
Te tengo priggiuniera
e moro nsieme a te.


Il napoletano oltre che essere una lingua ufficiale è anche un modo unico di esprimere e definire i sentimenti. Esiste un modo unico di esprimere e vivere gli affetti che vede il capovolgimento delle azioni connesse al sentimento, ovvero l'amore folle si esprime spesso con azioni di odio, rabbia o insulto e viceversa. E'emblematica la sequela di epiteti e parolacce che pronuncia una mamma arrabbiata con il figlio appena ritrovato, l'azione si conclude poi con un abbraccio ed un: "gioia 'e mamma"!


sabato 24 ottobre 2009

A MIO FIGLIO di Anita Laporta

Non sentirti ingannato da questo mondo
Mai, figlio mio
Vedrai, la pace scenderà
Anche nel cuore più duro
In fondo io credo, anche, in te
Per una nuova Storia
Adesso è tutto provvisorio
E se la morte porta via la speranza
Ritornerà un’altra alba
A rischiarare la Terra
E le lacrime laveranno le delusioni
Come sempre

Non sentirti ingannato
Sei nato in un anno di speranza

Quel muro è caduto per tutti
Segnando altri sogni, altre gioie
Definendo una nuova libertà di credere
Figlio mio,
Il tuo posto è nel mondo
Insieme agli altri
Tra voci consumate
Tra il credere e il fare
Ricorda
Nessuno è straniero
La felicità è un sogno per tutti

Non sentirti ingannato
Mai, figlio mio

Se tu ascolterai
I tuoi pensieri
Vedrai
Il silenzio canterà
Anche nella solitudine
La speranza sarà tua complice
E il mondo sarà la ragazza dai capelli di seta
Che bacerai
Con la quale impasterai il pane del futuro
Con miele e saggezza
E così
La pace avrà il segno del tuo sorriso
Nella misura antica dell’amore
Nei raggi giulivi della vita.

Scrivere una poesia al proprio figlio non è molto facile perchè i pensieri si sovrappopolano di speranze che, contorniate da illusioni e da aspettative dignitose, elargiscono consigli, auguri, suggerimenti che ne fanno più una lettera che versi poetici. Nell'intento capriccioso di dedicare a mio figlio, anche, una riflessione poetica, il cimento risulta, inevitabilmente, espressione di tenerezza e di bisogno di tutelarne il cammino. Infondere, soprattutto, la fiducia in se stessi e negli altri, per non perdersi nei momenti di solitudine e di amarezze che la vita, comunque, riserva a tutti.

Nella grandiosità del pensiero per mio figlio, questi versi assumono un messaggio di speranza e di fiducia che tiene conto dell'immersione fatale nel mondo.

Mio figlio è nato nel 1990, anno di grandi speranze che l'abbattimento del muro di Berlino inculcò, soprattutto nei giovani.




(Mecano, Figlio della luna)

venerdì 23 ottobre 2009

GIRASOLI di Pietro Vizzini














GIRASOLI

Adagiate lassù
tempere su tavolozza celeste
brocche d’acqua
terrecotte nel cielo di giugno
vagano in un silenzio apparente
come nuvole sparse
scolpite dal vento.
Volteggiano il loro sguardo
girasoli nel campo
sorrisi di luce dorata
tinte trasparenti
accendono gioia vellutata
mi sorprende un nuovo amore
luce vagabonda
precipita il mio sogno
porto le mani sul mio volto
è di nuovo giorno.


Un nuovo amore può sconvolgerci la vita, portare dentro di noi una nuova luce, riempire di gioia il nostro animo, anche i colori delle cose assumono una tinta più accesa, tutto sembra diverso, poi all’improvviso come un’illusione, tutto può svanire come la fine di un sogno, e la realtà si ripresenta lasciando un vuoto dentro di noi, ma anche i sogni si possono ripetere ogni notte e diventare un giorno realtà.




(Dipinto: Quattro girasoli recisi-Vincent Van Gogh)

giovedì 22 ottobre 2009

MOSTRA IL TUO POTERE ANCORA di Angela Olino






















MOSTRA IL TUO POTERE ANCORA

Avanzi.
Aria disseminata tra la gonna lunga
Passi nell’avvolgerti tra il niente dei tuoi vestiti
Gli occhi bassi di chi sa che non può chiedere senza dover elemosinare
Tracce dell’incombenza che travolge ogni tuo cenno
Ferite nascoste nel fard
Rughe incise tra il labbro scomparso
Orme leggere dal cauto movimento
Porte chiuse ad ogni tuo passaggio.
Scale discese tra il volgersi della nullità
Silenzio come raccolta di vecchi echi
Ecco cosa sei
Mostra il tuo potere ancora!
E’ solo eclissato dalla lama acuminata del tempo
Rivolgi le tue confidenze nel sostegno di chi attende
Semina il naturale archivio della tua arte
Ritmo concordato dalle danzanti promesse
Decidi la rinascita
Come sentenza del solo tuo giudizio

Penso spesso allo specchio delle donne.Le immagino immergersi nei meandri di un riflesso che con il tempo ne affievolisce i contorni. Donne che per strada sembrano fantasmi del loro passato nonostante abbiano ancora forza e coraggio da dimostrare. Il tempo o gli inganni del tempo. La vita o gli inganni della vita. Non potremmo scoprirlo nell'incontro di visi occasionali. Io mi chiedo solo il perchè della loro resa. E' sempre cosi difficile riemergere?



(Dipinto: Donna allo specchio-Picasso)

mercoledì 21 ottobre 2009

OCCHI VERDI di Cristian Pretolani

Penso ai sogni
che oggi costellano la mia mente
e mi sento solo come
le nuvole nel deserto
provo a cercare l’energia
dentro di me.
Sono ancora immaturo
senza un preciso progetto
e sentiero.
Fino a quando il mio respiro
non si è incontrato col tuo.
Le anime si sono riconosciute
Sulle pelli ardenti.
Mi piacciono le mani
che sanno danzare nel cuore
hai saputo guardare dentro
agli armadi del tempo
e hai appeso nuovi colori
in ogni momento sento scorrere
la pienezza di tenere emozioni
che a poco a poco rischiarano
l’aria.

E' un testo musicale in via di completamento, pertanto il linguaggio è diretto con lo scopo di arrivare immediatamente alla comprensione del contenuto. E' una canzone che scivola tra uno smarrimento prima di incontrare l'amore, e una volta incontrato sbocciano passaggi di consapevolezza forti che portano sul sentiero della propria presa di coscienza. E' un amore profondo e conflittuale ma proprio per questo vero senza tabù un romanticismo concreto. Manca il ritornello che al momento opportuno arriverà.



(Dipinto di Cristian Pretolani)

IN CHAT di di Wanda Mantero

Nell’ora più tarda, alla mia “finestra” illuminata, una presenza si prospetta, senza che io l’abbia chiamata.
Non ha forma umana, è solo un “nickname”
una serie di numeri, una frase scostumata,
un eroina del passato o un essere indemoniato.
Uomo o donna? E ...chi lo sa?
A volte, una sola entità decine di nomi avallerà.
Scrive senza sapere ch’io sia ne dove io mi trovi sul momento,
ma siate certi dietro una maschera anche io ribatterò.
Cosa cerco nel Web? Solo compagnia. Un’anima in pena come la mia.
Amico di una notte, raccontami una storia,
a mia volta qualche fola per Te inventerò.
Sarò Shirin la dolce principessa, o la scalza intrigante contessa
O ancora Madame de Renal, la dolente eroina del grande Stendhal,
per me, nell’irresistibile Julien trasformarti dovrai.
Questa notte l’ amore sarò io la forma dei sogni assumerò per Te.
Una tenera, virginea fanciulla o una saggia solerte mammina?
Se hai voglia di una storia romantica e forbita
presto l’avrai sul desktop descritta
Vuoi una zia benevola o una dolce nonnina
per consolare il cuore tuo afflitto?
Ho in serbo antiche ricette incantesimi arcani, segreti talismani
ti insegnerò se vuoi a prepararli con le tue mani
ipso facto il cuore della tua amata sarà riconquistato
e Tu, ragazzo! Presta attenzione alla prof
che nel messaggio scoprirà madornali
ortografiche pecche una bella tirata d’orecchie
la grammatica ti farà ripassare.
E Tu amica mia, non indignarti, se un fanciullo irridente e blasfemo,
replicherà online senza tanti complimenti
ai tuoi scritti arguti e pungenti con uno sfrontato ….”Ma, vaff….. !”.
Ma se il vizietto della pornografia, uno sporco individuo,
senza essere invitato mi scriverà
ocene sconcezze gli spetterà state certi,
una risposta pepata che varrà quanto una bella pedata.
In un “ignora” perpetuo, infine, il suo nick finirà, se,
con un inganno sulla webcam mostrerà il deretano con annesso corollario.
Sono una sola in verità, ma nel virtuale ho mille identità.
Lo spasso è niente male sicuramente meglio della TV
Si ride si piange si ama e si odia in una parodia estrema della realtà.
Qui è nata la Folliwood del fai da te.
Sceneggiatore produttore regista attore qui della fiction
ognuno è il re puoi fare un film un sequel un cortometraggio
senza pagare nessun appannaggio.
Ci vuole solo un pizzico di pazzia una dose cospicua
d’ingegno e creatività il resto lascialo fare alla fantasia.
Strana atmosfera questa del Web,
magia tecnologica ti strega ti avvince è come una droga,
ma male non fa. Il sonno dilegua passa il tempo veloce
mentre ticchetti sempre più in fretta. Sarà ora di andare?
Mah! Credo proprio di no! Morfeo! Sii paziente!
Anche stanotte, dovrai aspettare.

Il mio è uno scherzo piuttosto cattivello, ma ritengo di aver rappresentato in modo molto realistico il mondo della chat, dove si trovano persone di ogni età e condizione. Persone colte o ignoranti, educate o scostumate, sane o malate; una umanità eterogenea che nella chat a volte manifesta i suoi lati oscuri, altre la propria creatività, come me che preferisco trascorrere qualche ora in modo attivo invece di rimanere inerte davanti al piccolo schermo a guardare le solite fiction .

martedì 20 ottobre 2009

Ho creduto di MASSIMO IMPERATO

I tuoi sguardi furtivi
senza espressione,
muta richiesta di aiuto,
segreto desiderio.
Così ho creduto.

I tuoi silenzi,
timida paura,
delicata resistenza
per non ferire nessuno.
Così ho creduto.

I bei momenti,
pochi e indimenticabili,
segno inespresso
di un impossibile desiderio.
Così ho creduto.

Illusioni create,
finti sorrisi donati
accompagnando false verità.
Mi sembra impossibile.
Così ho capito.

Una storia di un amore impossibile, sperato e sottilmente corrisposto. Un intreccio idilliaco vissuto con notevole impeto amoroso. Poi alla fine il colpo di scena. La scoperta di una illusione provocata per realizzare altri interessi personali.(Massimo Imperato)


lunedì 19 ottobre 2009

LA QUINTA STAGIONE di Francesco Palmieri

(The door to the sea)

















LA QUINTA STAGIONE

Ormai non ci credo più,
io, che camminavo con occhi spalancati e lucidi,
io, che ogni mattina correvo sul balcone
ad aspettare rondini d'aprile
e fiori a scoppiare dentro ai vasi,
che a novembre uscivo all'ora dei lampioni
(e piovesse, speravo,
quell'acqua venuta da lontano
e un chiudersi di porte,
le voci dei bambini a chiedere la cena).

Non ci credo più,
io che ho conosciuto campagne a farsi grano
e le cicale pigre nei pomeriggi lunghi
di papaveri, rosso e ulivi,
(e poi l'ottobre e l'uva,
le giacche più pesanti
ripescate negli armadi).

Erano gli anni del rosario a maggio,
del pane segnato dalla croce,
di Cristo che moriva verso sera
e alla domenica campane e voli
a riportarlo in vita
(ed era festa nei vestiti nuovi,
nelle cucine accese di mattina presto).

Era la primavera e poi l'estate,
era l'autunno e poi l'inverno,
era l'attesa certa di un ritorno
e tornavano a novembre anche i morti,
quando s'accendevano lumini sotto ai quadri
e si cuoceva il pane con l'uva passa e il vino.

Ormai non ci credo più
e so per certo che nessuno torna,
mai niente che ritorni...


L' alternarsi delle stagioni accompagna il tempo della vita e spesso caratterizza con le sue luci, le sue atmosfere, i colori e l'aria, momenti esistenziali che la memoria "epicizza" (pur se si tratta di celebrazione in qualche modo "postuma").Ho ripercorso in una sorta di "biografia sommaria" (rubo l'espressione a Milo De Angelis) alcuni momenti paradigmatici del mio percorso esistenziale, svoltosi fino a 27 anni nella mia città natale (Altamura, Puglia): dalla scoperta della magica vitalità della Natura fino al sentimento di una fede sentita come solida e incrollabile. Ho rivissuto per un attimo tutta la dimensione grandioso-magica della scoperta della Terra e del Cielo. Quattro le stagioni...puntuali ad ogni anno solare. Poi il disincanto. Poi la stagione definitiva, ultima (la quinta), quella in cui la "coscienza del morire" diviene certezza di un evento, osservazione della "condanna" originaria, congenita all'umano: le stagioni naturali sopravviveranno e continueranno a tornare, l'umano - smarrita ogni mitologia, ogni proiezione ultraterrena - ha una sola direzione, un esito soltanto, una conclusione banale e "disumana". E nessun ritorno.

domenica 18 ottobre 2009

ANGELE PE N'INFERNO di Bruno Zapparrata




















ANGELE PE N'INFERNO

Prete stracciate,lava d''o Vesuvio,
pe lastrecà cu 'e llacreme sti strate,
addò 'a ggente cammina e si cammina,
cammina lenta, a passo 'e trapassata. (1)
Crisciuto cu l'essenza 'e ll'oleandro,
stu populo, c'ha scritto 'a meglia storia,
scurdanneso d''o suono d''a tammorra,
è addeventato...populo 'e camorra.
Angelo pe n'inferno
ca, mentre ncoppa 'a spalla porta 'o Santo,
stregne mmano 'o curtiello spuorco 'e sango...
mmiezo a sti mmura, scure, senza cielo,
addò se magna pane e se jastemma,
pecchè nasceta e morte so' una cosa,
pecchè a vent'anne muore pe "overdose".
Aneme cu 'e faccelle sarracene,
radecate int''e viche, mmiezo 'e ppene,
cu ll'uocchie nire, uocchie d'odio eterno,
Angele senza scelle, pe n'Inferno...


Trapassata, balletto effettuato dai condannati a morte dopo il 186o che andando dalle carceri del Pendino sino a Piazza Mercato per essere giustiziati effettuavano camminando questa sorta di movimento di tre passi in onore di quelli già giustiziati certo che gli sventurati che subivano dopo la stessa sorte lo avrebbero fatto per loro. Si dice TRAPASSATA o TRAPAZZATA

Chi a Napoli non ha subito l'influsso nefasto della trasformazione morale che dagli anni 60 in poi è andata sempre deteriorandosi sino a sfociare nella cancrena odierna quando ormai non c'è più rimedio. La situazione Napoletana è sotto gli occhi di tutti, un lassismo generale, una corsa all'arricchimento lecito e illecito, le istituzioni che vanno li solo per lucrare e litigare e i bimbi che crescono. Ma come? con il padre in galera, la madre che deve arrangiarsi per procurare finanche il latte, in vicoli e abitazioni grondanti acqua per l'umidita', arrangiandosi e covando odio sin dalla piccola età per questa società che nulla ha voluto o saputo dare. Qui si passa per ladri ed e' vero, scippi, rapine sono all'ordine del giorno, ma le rapine e gli scippi che ha subito Napoli dall'unità d'italia ad oggi dove le mettiamo? Non è bastata neppure la bonifica di De Pretis, che distrusse il Ventre di Napoli tanto ben descritto da Matilde Serao ma che poco ci ha ricavato nel tempo quando sussistono ancora i famigerati quartieri spagnoli costruiti per l'acquartieramento delle soldataglie al seguito dei vice Re che governarono o per meglio dire malgovernarono Napoli.Di qui nasce Angele pe n'Inferno, una spietata denunzia verso tutti, in prima fila le istituzioni che non hanno saputo o voluto dare ordine a questa città tanto bella ma tanto sfortunata. Bruno Zapparrata




Postata nel commenti trovate la traduzione della poesia fatta dallo stesso autore.

sabato 17 ottobre 2009

PAROLE PRIGIONIERE di Tatyana Andena



















PAROLE PRIGIONIERE

...siederò, nel silenzio
cercando di sentire se il vento fa rumore
il vento che qui tace
nell'agonia piatta di pianura
dove io vivo
sospesa in un sogno
che mi fa assaporare
delizie di frutti proibiti,la passione dei miei sensi
e i precipizi della tua assenza.
Io volo
in un vento iniziato senza capire
che ora penetra
ogni mia fessura
sono completamente aperta al mio vento
come amante che aspetta
e mentre il tempo passa
io sto male.
Cerco parole e gesti,
rubo frutti alla fantasia
ghirigori di nuvole che ti raggiungono
come io fossi su un treno pronta a scendere
e a piangerti addosso.
Sento i binari correre
verso boschi che
rendono dolce il respirare
sapendo che dentro a quegli odori ci sei tu
ecco giunge il freddo e mi porta via
lungo la rotta,
di chi si arrende al suo destino
navigo ancora nel sentore del vento che vedo con occhi ormai ciechi
di certezze
resisterò alla gola che si chiude di parole prigioniere
aspetterò l'alba
e un segnale dal cuore
che mi dirà, lui solo
fino a quando potrò aspettare
le tue mani
e chiudere gli occhi
mentre vicina, un giorno, nel dove, nel quando, nel forse
tu mi toccherai
facendo di me
l'aurora che si desta
nel cielo rosso che rinasce
affogato
dalle tue carezze.

Il pianto dell'attesa langue in un tempo senza arie, il vento appassisce piano nel silenzio che soffoca il richiamo del cuore. L'attesa, il sogno che non va via, continua un'agonia che chiama amore e aspetta amore.


SARA' IL MARE... di Michele Caccamo



















SARA' IL MARE...

Sarà il mare a soffocare
perché si incasseranno le acque
senza modi di vivere
i pesci diverranno incapaci
sotto a un gradino di gelo
arriverà la pressione
di dieci mila miliardi di notti
in una portata
e avremo freddo
e un’unica occorrenza d’amore"


Anticipare la fine, preannunciata per veggenze e simboli sparsi. Interpretarla e sentirne il peso, pur sapendo che dopo la fine ripartiremo dall'inizio, dal primo desiderio d'amore.





(Maria Adamini,Verso il futuro)

venerdì 16 ottobre 2009

IL LAMENTO DELLE SERE di Angela Olino















IL LAMENTO DELLE SERE

Nel socchiudere gli occhi
tra la calma di atri riflessi di luna
s’avvicina un tremore
E’ l’istinto di un tormento
nell’indiscussa analisi del corpo
è il vezzo della veglia
nell’incauto avanzo dell’amplesso

Il ruvido segreto
che deteriora l’anticipo deposito
risoluto alla conclusione dell’estasi

Accogli senza ostilità
il diritto della sua legge
accostando l’orecchio
al lamento delle sere
rendendolo soave musicalità


Le parole sono l'avventura della mia anima si assottigliano tra le mani come lame di coltello...feriscono...ma poi le cicatrici si rimarginano tra incisi della mente formando ricordi...




(Dipinto: Gli amanti-Renè Magritte)

giovedì 15 ottobre 2009

Giungerà un Angelo di GUIDO PASSINI

Nei crudeli giorni, bui, dove la pioggia
disquisisce sul petto, sul respiro,
m’inarco sul ventre del dolore.

Una trappola crescente, una morsa
che non molla, e stringe, stringe, stringe,
mentre sento la fatica prendermi.
La testa brucia, il fianco mesto,
vacilla.

Non ho forze per proseguire,
e Lei ride, ride con quel ghigno malefico,
ride, ride, si sfrega le mani, sbava.

La sua lava calda,
che sento nel petto,
cerca di tapparne i condotti,
rovista alla ricerca di un tasto off.

Se ne avessi la forza, se solo avessi la forza
di potermi riscattare, una volta per tutte.
Ormai arreso, una preghiera
giunge, come inno di ripresa:

Il Signore sa ascoltare il tuo dolore,
lo vive sulla sua pelle, insieme a te.

Il Signore sia lodato, proclamato,
accompagnato dalla tua anima.

Giungerà l’angelo tuo destinato, e sarà la risalita.

Scenderà veloce sul male che tanto scuote e percuote.

Renderà luce alle tue tenebre,
affievolirà il calore fino a renderlo gradevole,
come una mano ferma sul cuore.

Strapperà il sigillo al tuo petto,
e staccandosi una piccola piuma dorata
pronuncerà le parole di Dio:
Sia la Luce.

Quand’anche un esercito si accampasse contro a me, il mio cuore non avrebbe paura; quand’anche la guerra si levasse contro a me, anche allora sarei fiducioso. Salmo 27, 3


La poesia è una preghiera, una delle tante che ognuno di noi ci si ritrova a declamare, nelle notti nostalgiche, nelle notti in cui il dolore è tanto. Lasci sempre una luce accesa: quella della speranza. Non necessariamente per noi stessi, ma anche per il prossimo. Ho cercato di trovare la pace con me stesso, di renderla un piccolo salmo, senza averne l'arroganza di crederlo. Il resto verrà da se. Quand’anche un esercito si accampasse contro a me, il mio cuore non avrebbe paura; quand’anche la guerra si levasse contro a me, anche allora sarei fiducioso.



(Dipinto di LAURA PANNUTI)

mercoledì 14 ottobre 2009

A gran galoppo...di Filippo Pio















A gran galoppo.

Minacciosa tempesta
all’orizzonte,
nubi di pensieri e dolore
lievitano spirito
e ricordano giustizia.

Colori deboli allo sguardo,
e l’atmosfera
in grigia sembianza,
rende tutto
naturalmente anonimo.

Domande prive di risposta
assalgono
ora che nessun dubbio
è offesa…
i ragionamenti perdono passo,
e la mente…
stenta nel ritmo.

In respiro a polmoni aperti
tra le nuvole,
un tormentoso vento
mura abbatte, nebbia dissolve,
pensiero implode,
e sublime estatica emozione,
esplode.

Impavida biga d’amore
nel ciclone a gran galoppo
tra ragione e passione.


L'anima è una biga trainata da cavalli alati, come riporta Platone nei suoi tre elementi fondamentali un auriga e due cavalli. Secondo la celeberrima teoria delle idee, che prevedeva l’esistenza di due realtà, quella ordinaria e quella delle idee, le anime nella loro esistenza prima della nascita corporea, vivevano con quelle degli dei, potendo così ascendere al livello superiore dellIperuranio Nell’auriga si sostanziava l'elemento razionale, mentre nei cavalli quelli irrazionali: Dei due cavalli, uno bianco, ubbidiente con spirito fiero e temerario, l'altro nero rozzo, incapace: la consapevole capacità dell'auriga è quella di riuscire a dominarli e farli galoppare in sintonia Il nero si ribella all'auriga che rappresenta le passioni più infime e basse, legate al corpo, mentre il bianco, al contrario ne rappresenta le passioni più pure, spirituali, elevate. Non tutti gli aspetti irrazionali sono dunque negativi, si possono solo controllare con la metriopazia (la regolazione delle passioni).


martedì 13 ottobre 2009

LA CANDELA di Massimo Imperato

Immobile, osservo zitto
il lento ritmo
del respiro tenue,
scandito dal movimento,
sotto morbida seta,
di quei ritti seni,
mentre piano,
si scioglie lunga la candela.
Si fonde l'odore della cera
con essenze di profumi
dai tuoi pori
dolcemente emessi.
Sfiorar le labbra
con le mie vorrei,
ma timor mi assale
di romper l'incantesimo,
e muto resto
fin che smorta
la fiamma si consuma.


Un incontro romantico. Luci spente. Solo una candela illumina la bellissima donna che sinuosa si muove alla luce della fiamma. Il desiderio di toccarla si blocca a quella visione e col profumo che si espande nell'aria. L'impeto maschile si placa e resta a godere lo spettacolo dei suoi movimenti finchè resta accesa LA CANDELA.(Massimo Imperato)


lunedì 12 ottobre 2009

VORREI VIAGGIARE di Maria Isa D'Autilia

Vorrei viaggiare
ai bordi della notte
rincorrere petali sfranti
di passione lungo strade
di vento, ripiegare
gli origami smorti
di speranze sognate,
cogliere, tra le lame del mare,
tutti i domani del passato,
riporre nel cassetto di un'aurora
che stenta a ritrovare
la strada delle dita,
le parole mai dette e consumate
nel silenzio di ore
mai scandite...
Vorrei viaggiare
ai bordi della notte,
della tua notte,
ma ho smarrito i miei passi...




Ci sono momenti in cui il bilancio di una fase della vita, o del passato più o meno lontano, o di un rapporto vissuto o soltanto immaginato si sgretola come foglia morta tra le dita. Ed allora, mentre sembra che la notte incomba e paralizzi, sboccia la voglia di porsi ai margini delle tenebre, per inseguire emozioni e passioni che si perdono come portate via dal vento, si riporre ogni speranza del passato per non illudersi più, raccogliere quesi futri sognati nei tanti ieri ormai lontani e dimenticare le tante parole non dette...
Il sogno riemerge nel desiderio di incamminarsi ai bordi delle tenebre di un'altra persona, forse quella a cui erano destinate le parole non dette...ma è un sogno già frustrato in partenza...
La bella musica di Roberto Monti dà il tono giusto, l'atmosfera per questi versi, con il ritmo e la melodia velati da un senso quasi di melanconica nostalgia(Maria Isa D'Autilia)




(Dipinto:Il vestito di notte- René Magritte)

sabato 10 ottobre 2009

NA TERRA di Bruno Zapparrata

Capo Miseno, la rada- Luciano Cuomo Galleria)

















NA TERRA

Bella comm'a' nu specchio 'e Paraviso
sta terra 'e fuoco cummigliata 'e verde,
cu l'oleandro, sciore amaro appiso
e 'o mare chiaro attuorno ca se sperde.
Se sposano acqua e fuoco, na canzona,
sèmmena pe chi nasce già signato...
figlio d''a storia e d''a rassignazione,
cchiù amaro 'e ll'oleandro, a quann' è nnato.
Preta pe preta, ce se legge 'a storia
d''e griece, d''e rumane, ca traspare;
strate c'hanno cantato morte e gloria;
storia ca s'annasconne e po' accumpare.
Ma si' 'a notte cammine pe sti vvie
e dint' a ll'aria siente nu lamiento,
nun so' 'e ssirene cu 'e malincunie
nè 'a tromba ca Miseno sona 'ô viento.
E' ll'anema 'e sta terra ca se lagna,
e n'eco 'e chianto torna mmiezo 'e fronne
e siente 'e murmulià pure 'a muntagna
ca 'a luna guarda e a mmare po' s'affonna...


Chi non ha mai varcato il golfo di Pozzuoli attraverso Miseno chiuso tra le sentinelle di Montenuovo a Lucrino (monte nato in una notte) ed il lungomare che va da Coroglio sino a Pozzuoli. E' uno spettacolo della natura incomparabile che solo nel tempo e nei secoli eruzioni vulcaniche hanno dipinto con mano sapiente così bene. Terra vulcanica per eccellenza i Campi Flegrei da Fuorigrotta sino al lago Patria conta 23 crateri vulcanici parecchi con laghi piccoli o medi più il catino di Fiorigrotta, mitico stadio di Maradona che è proprio un cratere, l'altro che non ha lago sono gli astroni di Agnano ed anche l'omonimo ippodromo e' su di un cratere.Nelle giornate tiepide di scirocco arriva l'odore di zolfo acre e persistente sprigionato dalla Solfatara ed ecco perchè tra l'altro è terra di fuoco mentre la storia che si nasconde e ricompare è dovuta al bradisismo. Lo specchio d'acqua davanti Pozzuoli, Baia dei Cesari, Bacoli è stracarico di Reperti antichi che affiorano quando si solleva il suolo. infine Miseno che cadde a mare ammaliato dal canto delle sirene, morendo. Tutti storicamente conoscete Miseno, Nocchiere e Trombettiere di Enea nel suo peregrinare sino allo sbarco nei pressi di Roma proveniente in fuga da Troia. Ma i lamenti sono esclusivamente della Montagna nel cui eco le foglie degli alberi fanno da contorno con il pianto e per acquietare l'animo, guarda la luna e poi s'affonda con la base a mare, non potendo sopportare lo scempio della natura che oggi avviene (Bruno Zapparrata).




Postata nei commenti trovate la traduzione letterale della poesia fatta dallo stesso autore.

LA MIA POLVERE di Guido Passini

Basta sono stanco,
questa sera non ne posso più,
mi accascio su un nevrotico divano,
con le gambe gonfie, i piedi gonfi,
le mani gonfie e gli occhi gonfi,
gonfi perché ho pianto,
ho pianto perché ho dovuto, ho dovuto perché …
Io non so perché.
Ogni giorno lo chiedo, e ogni giorno non ho risposta.
Lo chiedo guardando lo specchio,
ricevendo l’immagine di una triste statua di gesso,
immobile, frustrata, frustata da lei,
che vuole tutto, Lei, vuole, vuole, vuole, vuole,
senza alcun ritegno, lei vuole.
Specchio delle brame, che disprezzi,
che brami contro me …
Ti rompo! Ti rompo con un calcio,
gridando “Bastardo”,
e tu di riflesso, cadendo,
sminuzzandoti in terra con un rumore
stridulo che pare una risata.
Guarda quante piccole schegge,
sparse sul pavimento,
e poco più in là
un piccolo mucchio di gesso.
Sono io, disperso nel tempo.


Ho letto il libro della beat generation e sono stato catturato da quel modo di scrivere. Questo si avvicina un pò a quel modo di fare poesia. Un ritmo un pò convulso che vuole letta con l'ansia e la velocità necessaria. Come sempre parlo della malattia che sovrasta il mio corpo, e la retorica è presente in tutte le immagini. Credo che la poesia possa dire molto di più di quanto possa commentarla io.(Guido Passini)


venerdì 9 ottobre 2009

In treno di Annamaria Fulgione

(Dipinto di Mario Corrieri)
















In treno

Sguardi che sfiorano appena
i colori dell'autunno,
arcobaleno, che sfugge veloce
alla vista,tanto da poterne
sfioraresolo la coda, ed
un attimo di luce.
In questo vagone
affollato,
viaggia la mia vita
ora ghiacciata.
A tratti sonnambuli
ricordi mi avvolgono
la mente
e piango o rido
incurante degli sguardi cattivi,
che non intravedono tra i
miei seni il tatuaggio
dell'anima.
Sfrecciando sui binari
godo appena
del primo chiarore
e dell'ultima oscurità,
si attraversa veloci il giorno.
Alla prima fermata scendo
e veloce
faccio incetta di sogni,
anche di seconda mano,
come ladra assetata di
vita.

Questa davvero ,lho scritta di getto,come del resto tutti i miei SCARABOCCHI,in treno,da Eboli a Napoli,in un giorno molto doloroso per me,guardavo immersa nel pantano che ti getta il dolore, attraverso un finestrino, la mia vita,e non riuscivo ad uscirnefuori,detesto il dolore,mi ghiaccia !!!!!!!!!!!!!!!solo i ricordi mi davano un attimo di vita.........ma ad un tratto essendo reattiva per natura ,mi dò una scossa servendomi dei sogni perchè solo quelli ti aiutano a reagire e per poi totnate a vivere!!!!!!!scusa rosalba oggi face mi funziona malissimo ,non c è profilo solo la posta funziona un bacio grazie. (annamaria fulgione)


giovedì 8 ottobre 2009

Corriere del tramonto ( fu il Novecento borghese) di Ennio

Uomo senza oceani da scalare
scivola su pozze dissanguanti
inanellando le ragioni con i torti
che non confortano lo stile della vita.
Giochi paralleli di occasioni,
frutta consumata dopo i pasti,
anoressica viltà
o insopprimibile, bulimico, coraggio?
Sospeso fra i doveri ed i barlumi
di gioie riservate in prima classe,
legge necrologi sui giornali
distratto come un morto al funerale.
Pacche sulle spalle dei parenti,
chiacchere sommesse coi notai,
parole, parole, parole...
e la vita che passa,
con il rumore della lettera 32.
Roba dell'altro secolo,
ritaglio di giornali stinti,
fondo di bottiglia che osserva l'orizzonte,
riporto di precoce calvizie, santità
e laica autorità.
Morte degli anni Ottanta
fra lustrini e chiappe ben tornite,
esala l'ultimo respiro sul Corriere
come un caffé nel bar della stazione:
veloce passa, arriva l'eurostar
squilla un messaggio
nella tasca di qualcuno.
Da qualche parte
fra il traffico del centro,
passeggia mano nella mano
chi non conosce storia.

sì, il tempo che passa e che interroga noi uomini e donne di oggi, così sospesi in un'epoca totalmente inedita, perché è vero che il futuro è sempre, per definizione, imprevedibile, ma in questo caso neppure si può tratteggiare il benché minimo abbozzo di alcunché. Precari nella memoria e della memoria, passeremo come in una stazione. Ma esiste una vita, un amore, una gioia che non sia oblio?


mercoledì 7 ottobre 2009

Africa di Francesco Ferrante

Nni lu 'nsignò
cu la morti 'ncruci
lu Sarvaturi...
chiànci 'u giustu
pr'u piccaturi!
E accussì chiàncinu
miliuna d'africani
ca ogni jornu, nun sì babbìa,
addisìanu puru 'u pani.
Nuatri, beddi, 'unciamu
e nun vulemu mai talìari
l'autru munnu affucatu
da rignanti lupunari.
All'Africa hannu livatu pani e acqua,
'nfami latri 'ncravattati,
ma li risati, l'occhi di la genti
nun l'hannu mai arrubbati...
ne pututu mai accattari!
'Sti cosi nun l'inventu,
nun sunnu sulu puisia...
'sti cosi l'haju liggiutu, l'haju studiatu,
l'hannu vistu l'occhi mia!
E nun dicissiru, li parrina,
ca poi c'è la vita eterna,
picchì 'a giustizia,
lu Signuri,
la voli 'nta 'sta terra!
Nni lu 'nsignò
cu la so' vita
lu Sarvaturi,
la storia cancia, si vulemu,
basta cunzari ogni cosa
cu l'amuri..."

Esiste una terra sfruttata e compianta ma mai effettivamente aiutata. Si chiama Africa. I problemi di questo continente, meraviglioso e disperato, ci sembrano lontani e talvolta incomprensibili, ma ci riguardano più o meno direttamente. Basta ascoltare le voci dei numerosi missionari che operano in quelle terre, o le denunce delle tante associazioni umanitarie, per capire che per aiutare l'Africa bisogna anche correggere certi nostri atteggiamenti..." La poesia è inserita in una raccolta, "Il sole non dimentica alcun villaggio", ed è una post- riflessione della mia esperienza in Africa. (Francesco Ferrante).

(foto di Franca Schininà)



Postata nei commenti trovate la traduzione letterale fatta dallo stesso autore.

martedì 6 ottobre 2009

QUANDO ERAVAMO IN DUE di Massimo Imperato

Quando eravamo in due
il sole sorgeva in coro
sui nostri sguardi uniti,
le lacrime si mischiavano
amandosi come noi.

Quando eravamo in due
le ore si fondevano
ai nostri corpi uniti
ferme, sospese e austere
in cerca di un amplesso.

Anche la rabbia, persa
nei nostri accesi sguardi,
smussata e stemperata,
cambiava il suo colore
e diventava amore.

Quando eravamo in due
ognuno il suo dolore
poggiava all'altro in grembo,
trovando il giusto asilo
e l'unico conforto.

Oggi che siamo due
più niente ancor accade.

Quando eravamo in due
legammo in un tutt'uno.
Ora non siam nessuno.

La vita di coppia spesso finisce col diventare un'abitudine. Si dimenticano i momenti magici trascorsi insieme, quando anche la situazione più banale assumeva toni e colori sgargianti. Invece l'abitudine finisce col colorare di grigio tutti i giorni e la forza di affrontare la vita insieme viene definitivamente a mancare. Fino alla distruzione del rapporto. Basterebbe rivivere con lo stesso spirito di "quando eravamo in due" per smettere di essere due qualunque, persi nei propri fallimenti.


lunedì 5 ottobre 2009

LETTERA A' EDUARDO di Bruno Zapparrata















LETTERA A' EDUARDO

Te ne si' ghiuto pe turnà cu 'e stelle,
cu na reliquia, Napule int''a mana,
mascàra nera, n'esistenza sana,
a sfravecà miserie e guarattelle.
A che è servuto ? Hè cunzumato 'a carta
mmiscannola cu a gnòsta e cu 'e penziere,
mille capulavure hè dato a ll'arta
pe fa capì ca ogge ...nun è aiere,
pe cagnà 'a pelle, comma a' nu serpente,
e' pprete, 'a gente, 'e mmura 'e sta città,
sciacquà 'o ppassato pe fa finta 'e niente,
lampa 'e nu cippo, 'o mmale d'abbruscià...
Mo ca si' stella e duorme nziem''e stelle,
si annanze a Dio t'avisse appresentà,
stracciate 'a màscarina 'a copp''a pelle
nfosa d''o chianto e'o sango 'e sta città...

Questa poesia scritta nell'immediato della morte del celebre attore,regista e commediografo napoletano, segna un momento terribile della storia della città di Napoli. Un periodo dove incominciarono tanti fatti e misfatti che fecero parlare le cronache per fatti diveri a quelli di oggi.La gente non era abituata e ci fu un impatto terribile. La Napoli degli anni 5o nel periodo post bellico era tramontata, i meravigliosi anni 60 erano finiti e con loro quelle poche cose buone che avevano fatto vivere tranquillamente e più o meno felici intere generazioni. La filosofia lasciata nei suoi lavori, come Filumena Marturano, Le voci di Dentro, Non ti pago, Peppino Girella, Uomo e Galantuomo, Il sindaco del Rione Sanita', e soprattutto in Natale in Casa Cupiello, ha fatto di questo grande artista, insieme a Totò e al Fratello Peppino uno dei simboli di Napoli, Ultimo Pulcinella con la sua maschera che si presenta a Dio. Pulcinella non è il burattino che maldestramente guitti ci hanno proposto nel tempo ma nella sua napoletanita' è un altro filosofo in tutte le sue azioni. E allora questa poesia, in tutta umilta' diventa una preghiera del Napoletano affidata al rappresentante più degno da sottoporre a nostro Signore.(Bruno Zapparrata)




Postata nei commenti trovate la traduzione della poesia fatta dallo stesso autore.

domenica 4 ottobre 2009

URLA DI OMBRE (Auschwitz Birkenau) di Pietro Vizzini

Nel buio dei vagoni
vomitano urla di ombre,
profili spogliati di luce
con incedere lento
arrivano alla rampa,
da quì noi separati per sempre.
Bucano la terra del campo
lacrime di occhi spenti
solo fazzoletti di stoffa
ricordi precedenti,
lontano dalle baracche
spingono carretti a mano
con il fango alle ginocchia,
dietro un filo di spine
trovo nascosto il cielo
spruzzi di neve
soffio di zyclon b,
quest’odore acre e intenso
consuma il lamento
di madri che alzano i bimbi,
allineati e stanchi
crollano macerie di ossa
che si riabbracciano
nel giaciglio della fossa,
trafitto dal tormento
della mia corteccia spogliata
brandelli sparsi e fango
e corpi dall’inferno flagellati,
fuoco perenne
"Cenere"
frammenti di dolore
che si riversano nel tempo
come ricordi mai dimenticati.


Arrivavano ad Auschwitz i vagoni carichi di gente, ormai senza nessuna identità, questa lentamente veniva accompagnata alla piattaforma per essere separata, e tra le lacrime moriva la speranza, soltanto un fazzoletto di stoffa poteva essere tenuto come ricordo delle proprie cose. Lontano dalle baracche spingevano con il fango alle ginocchia carretti a mano, il cielo si poteva scorgere dietro il filo spinato, le madri alzavano in aria il più possibile i bambini, tentando di non fare respirare loro quel gas velenoso che veniva disperso dalle bocchette delle docce. Gettate nelle fosse comuni, quelle ossa finivano nel loro ultimo abbraccio comune, mentre i corpi straziati venivano bruciati nei forni crematori… rimaneva soltanto Cenere, frammenti di dolore riversati nel tempo come ricordi che non si devono dimenticare.
Nei libri di storia si legge in maniera lucida, la sofferenza e il dolore che hanno fagocitato gli uomini deportati nei campi di sterminio nazisti, io rimango allucinato, sconvolto dal pensiero che tutto ciò sia potuto accadere, ho cercato di descrivere la realtà di un incubo, io forse piccolo poeta, o piccolo uomo, che sogna la pace nel cuore degli uomini.




(Foto di Giancarlo Fattori)

sabato 3 ottobre 2009

NON CAPISCO.... di Mimmo Mangione

Non capisco la cattiveria
del mondo in cui vivo,
non capisco il dolore
di una madre abbandonata,
non capisco il sarcasmo
di chi crede di saper tutto....
non capisco chi disprezza
un'amore gratuito
un bacio regalato,
non capisco il troppo caldo
o il troppo freddo,
il vino bianco
che sa' di acido....
Non capisco perche' mi odi,
perche' non mi parli,
il tuo silenzio mi uccide
dentro....
Non capisco i peli nel naso,
le notti insonni,
le idee che frullano nel cervello...
non capisco il tuo amore
nei suoi confronti,
il colore delle tue labbra
e quell'assurdo rossetto...
Non capisco i tuoi "ciao",
il tuo "mi piace",
i lunghi silenzii nel mio
povero cuore.....
Non capsico questa solitudine,
i cani che abbaiano in lontananza,
un messaggio che aspettavo da tempo....
Non capisco queste luci spente
il teatro vuoto,
l'applauso lontano...
Non capisco questo copione
sul mio comodino,
pieno della polvere del tempo
inerte insignificante!
Non capisco piu'
piu' piu' piu' piu'
questa maschera senza vita,
il suo sorriso spento....
Non capisco la vita,
non capisco piu'
neanche me stesso.....


...esserci e' importante, vitale per gli altri...ma cosa rimane di noi, quando il convoglio della vita che allegramente ci e' passato davanti, non si e' nemmeno fermato a mostrarci i visi di coloro che si e' portato via con se'? la solitudine diviene tua compagna, il silenzio del tuo studio un mondo chiuso con le finestre inchiodate! Allora senti il bisogno di sfogare, piangere, gridare la tua disperazione....e lo fai con la voce dell'anima riflessa su versi buttati li', uno dopo l'altro ....ti capiranno? Chi legge, capira' la tua disperazione? No, perche' l'orgoglio sa' nascondere con la maschera del buffone il vero colore della tua anima!(Mimmo Mangione)

STUPRI di Massimo Imperato

Girar la testa fa
la gonna che volteggia.
Donna vezzosa e snella
trascini l'altrui passo
dietro una scia maliarda.
Desiderio non si attarda.
Bello giocar coi sensi
quando nel giusto pensi.
Esaltano il gentil sesso
cotali smancerie
e, sorridendo al mondo,
fierezza cresce nel profondo.
Ma pugnalando a morte
il grande orgoglio,
vigliacca mano di codardo,
vìola bellezza eterea e delicata.
Senza riguardo alcuno
a dignità maschile,
schiacciando sotto i piedi
la candida virtù.
In cambio del più inutile
e furtivo amplesso,
violenta inerme una creatura
quell'assasino dell'umana natura.


La violenza alle donne è uno degli atti più vili che l'uomo può compiere. Oltre a devastare soggettivamente la creatura violentata rappresenta un crimine contro la natura umana che cerca il rapporto con l'altro sesso a fini procreativi. Il vivere civile vuole che la procreazione, o il tentativo di procreare, si basi su un rapporto di amore, di armonia ed equilibrio. Ecco perchè uno stupro colpisce due volte: una è la donna l'altra è la dignità umana.(Massimo Imperato)



venerdì 2 ottobre 2009

La pioggia di Filippo Salvatore Ganci

(Gustav Klimt-L'abbraccio)






















La pioggia

Delle sue gocce odo il -ticchettio-
sul vetro della finestra,
appannata
dall'alito pesante di un pensiero
che corrode oltre all'animo l'epa.

Come colonna sonora,
accompagnami
in questo funereo lutto d'amore


è spento ormai
il fuoco del camino.

Oh, pioggia!

Lasciami nel -torpore-
di questo gelido
abbraccio
dimmi solo se domani,
ci sarà
uno spiraglio di sole
a riscaldare
-il mio sangue -
raggrumato dal peso
del nero manto del cielo.

Io non piango,
ma sento la pioggia
che inonda -il cuore -

....è tempesta in me!


...è una pioggia che mi coinvolge emotivamente, i suoi suoni mi trasportano in mille pensieri,emozioni e sensazioni.In questo caso il mio pensiero si sofferma sul mio status sentimentale che sento in agonia e ne combatto il suo imporsi, attaccandomi alla speranza e fuggendo dai sensi di colpa, in ogni caso ...è tempesta in me!(Filippo Salvatore Gangi)



giovedì 1 ottobre 2009

Complice di Mario Scippa














(Rafael Olbinski -Embusterìa de la Palabra)



Complice

Parole nude, affiorono dal profondo, inutili.
Le farfalle volano cercando cristalli nei sogni,
e le fiamme nella foresta bruciano ali e tempi.
Barbari, mercenari, cannibali, preti e profeti.

Forma assente, vuoto, nella mente dilaga follia.
Silenzi assordanti sfondano i timpani, campane
di bronzo fuso dal fuoco dell'inutile guerra.
Nella mente specchi, pensieri brucianti di rabbie.

Poeta, taci? tu non puoi! la tua è Poesia. Illusione
e paura, mia, riflessi muti su pareti di gomma. L'orrore
invade il mondo; potenti, bellezze, orchi, del pudore
divoratori. Striscia, tranquilla, languida, la parola vestita.

Piccoli fiori senza più petali. Fragile gazzella, pelle
consumata dagli sguardi assetati di affamati leoni.
Il mondo guarda, il mondo sa, è complice e tace.
Vendute, le vendono morte nell'anima. Ed io, poeta?

Complice!


No! non posso commentare, non saprei se parlare della poesia o del contenuto.
Io sarei portato a parlare della, della forma, della bellezza di questa forma, per me nuova, ma non posso, perché la forza del tema è andato oltre la forma: il tema, l'atroce tema che è molto più importante della forma e di una probabile bellezza del testo di cui mi piacerebbe parlare.
Ma non sono un commentatore di fatti di attualità, non saprei affrontare quell'argomento. Meglio "tacere" meglio che parlino i versi, è l'unico strumento che ho a disposizione con cui ho potuto affrontarlo . Diversamente non saprei gestire un commento.Grazie (Mario Scippa)



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