Felice anno nuovo a tutti gli amici del blog. ros e massimo
Notte di capodanno
Scoppiettano, rimbombano, tumulto di spari turbinio di fuochi, ma urlano la gioia? Confusa esco dal giardino di mia vita. Inciampo in grovigli di egoismo, scalo monti d’orgoglio, precipito in valli d’insignificanza, rumino macigni di preghiera. Ecco ritrovo seme novello di speranza e cauta lo ricopro con terra d’amore. Mi riposo … ai bordi del silenzio e fiduciosa attendo nuova fioritura.
Mi cunsignò un saccu, Diu, chinu di simenza, di simenza di puisia. E ju mi fici viddanu ntò jardinu di l'amuri, haju caddi nta li manu e nta la vuci e ciuri p'arripizzari li tila sfardati di li sonni senza culuri di tutti l'omini cundannati. Simìnu e nun mi stancu, travagghiu senza mai lintàri, sdivacu niuru su biancu, haju un tirrenu di cultivari cu la spiranza e cu l'amuri, un tirrenu fattu di cristiani aggubbati da lu pisu du duluri...
Il poeta è un contadino, semina versi con la speranza che il terreno sia fertile e possano sbocciare frutti e fiori in grado di sollevare l'uomo dal dolore. (Francesco Ferrante)
(Dipinto: Paesaggio-Rocco Paci)
Postata nei commenti trovate la traduzione della poesia fatta dallo stesso autore.
Cerco la “casa del pane” * d’esultanza santuario, pia grida canto. Ma smarrita è la cometa nel labirinto dei dannati: surrogate luci fanciulle della notte follie di droghe e suoni; forme d’uomo smemorati da scienti saggi sotto vecchi giornali di ieri, ripudiati dormono. “Dov’è il tuo Dio?” urla Giobbe, da nudo tepore antico pietoso letame scalda: verme e anima ! Eppure all’orma tua il mio piede stava attaccato e al vico delle indecenze giungo, malinconico trapestio! Lontano, festoso clero e gioie di pastori, santi epuloni d’una notte, osannano giubilanti : “è Natale, non si soffre più”! Strascico passo su zacchere di pianto.
*riferimento a Betlemme, il cui nome in aramaico vuol dire: "casa del pane"
Ho scritto questi versi all'inizio del periodo natalizio, era notte, la città brillava di luci e gioie effimere... nell'aria il gemito dei senzatetto e il grido degli ultimi...Luoghi sacri colmi di gente esultante e girando l'angolo si muore! Si gira lo sguardo per non vedere e si canta felici "è natale non si soffre più", per una notte ci si sente santi e giusti imbandendo le tavole di superfluo e parole lasciando qualche spicciolo per gli Ultimi. Ipocrisia dell'occidente ricco e opulento! Che la Luce del Natale illumini i nostri cuori e le nostre menti e come i poveri pastori o i ricchi magi, condividiamo con la stalla il nostro amore e il nostro pane. Maria Savasta
Ragazzino passeggio per luminose vie davanti alle vetrine colorate. Vapori d'incenso irradiati da intermittenti lucine sbuffano al suon delle zampogne. Tintinnano le monete nelle tasche, prima di trasferirsi ai bottegai acquistando piccoli regali per far felici parenti e familiari. Vigilia di Natale, urlano i pescivendoli, sovrastano il brusio degli acquirenti in festa, in bella mostra spigole ostriche e aragoste. Mi faccio strada tra la lieta folla, visito a tappe i nonni e le case degli zii. Ognuno gira attorno alla cucina, stordito da succulenti olezzi mi perdo nel fondo dei tegami. Auguri a tutti, magico giorno beato; a casa, nascosti aspettano, i regali sotto l'albero, prima di essere scartati. Più non esiste quest'amata attesa, perso ho la via festosa, naufraga tra i ricordi di nostalgie passate.
Ho rivissuto gli anni della spensieratezza giovanile. Il Natale era atteso per 365 giorni l'anno. Il rituale mi dava gioia e certezza negli affetti. Il senso della famiglia. L'amore verso i familiari e gli amici. Poi la vita solleva il velo ed ho scoperto che erano prevalentemente illusioni, mentre la parte vera è finita con la scompara e la disgregazione di alcuni familiari. Eppure resta meraviglioso rivivere quei tempi con la mente.
Una ragione io cerco del fervore di vita pieno eppure immoto in questo angolo di terra. Danza acrobatici passi lungo invisibili reti un ragno perlaceo. In rara armonia un pullular di formiche si estenua per secchi frammenti. Un verde bruco stupendo sormonta abbracciandola una montagna di foglie. Una bianca farfalla disorienta lo sguardo in vorticose rincorse. Un cuculo a intervalli scandisce del tempo il ritmo lento. Quale in tutto questo la ragione?
Sarà forse la beffa di chi agita i fili di marionette impotenti costrette al bisogno o è un unico afflato che ora lieve ora grave anima nei confini del cosmo mille forme diverse a formare i pioli di una medesima scala che conduce all’Origine-Prima? Scivolato sulla mia mano il ragno a mio conforto spezza la mia solitudine. La risposta allora intuisco nelle note di un vento lontano.
Attraverso una lineare semplice immediata poesia si vuole evidenziare il fatto che fin dalla più lontana storia umana molti interrogativi hanno attanagliato le coscienze con risposte più o meno in grado di placare le angosce esistenziali, alimentate soprattutto dal mistero che circonda il nostro destino di creature umane. Risuona nelle orecchie il grido di Ecuba, nelle Troiane di Euripide "Zeus, sostegno della terra, che sopra la terra hai la tua sede, chiunque tu sia, difficile a comprendersi - forse necessità della natura, forse ragione degli uomini:...". Coloro che più insistentemente hanno tentato di affrontare l'eterno quesito hanno avuto in sorte o l'illuminazione della Fede o la tragica disperazione o il deserto bruciante di agnostiche o materialistiche convinzioni. Ognuno nel suo intimo forse può ascoltare la voce della scintilla che illumina il dubbio o annegare nella nera palude di risposte impossibili. (Adriana Pedicini)
Persone e cose scadenti per tempi e sensi, plagevoli di costruzioni iperboliche d’aspetti per momentanee e miserevoli funzioni.
Torri di Babele variopinte e griffate, mosse da cervelli insensibili e prevedibili come orologi all’opera per esistenze da copertina.
Puntuali forme ed apparenze, colorano stupidi ragionamenti, facilmente irretiti da menti impigrite dalla moda.
Propositi poco trasparenti, per ideali distratti ad antichi sogni, trattenuti ed avviliti nelle sabbie mobili di passioni e desideri estemporanei.
Aria servita in effimere atmosfere, e farcita di sensazioni, troppo immediate, per essere riflesse.
Imperituri ragionamenti indipendenti, trattengono un pensiero arrugginito, nero oramai come il carbone.
Granelli di intolleranza e convinzione, per attrito di presunzione e vanità, cadono inevitabilmente dalle alte torri, divenendo in basso, per continua rimessa, valanghe travolgenti e distruttive.
Sempre e solo quanto per interesse è previsto, poi….. ordinarie stanche domande ed ipocrite considerazioni di rito sulle impervenibili responsabilità delle tragedie.
Eccezionali telecronisti della morte insuperabili nella diretta, da bocciare in comprensione.
Stermini e catastrofi nulla ha presa né tanto meno lascia effetto, al ricordo come al presente, all’ombra di una disarmante convenienza.
Poca storia per un ago perso nel pagliaio della tecnologia delle forme dell’inutile.
Poco stupore per le meraviglie del mondo.
Ovunque incontrastata è insaziabile voglia adrenalinica mentre sguardi innaturali ed ossessivi, cacciano, negli infiniti presidi di materia uno spirito nomade e sfuggente.
Torri di Babele "..oramai non ha alcun interesse se una cosa serva o meno, l'importante è che sia lucida e veloce...tanto quanto non interessa cosa si dica, fondamentale è da dove si parla....così pian piano diviene superfluo se si creda o no in qualcosa.....basta darne solo una sensazione....."(Filippo Pio)
Nel mio silenzio di parole… urlo forte il tuo nome al cielo… muto brusio evanescente della mia voce. Nelle mie lunghe notti di luna piena… sento una leggera brezza sulla pelle… che mi riporta il tuo profumo, la tua grazia schiva e riservata. Quanta triste e sfuggente malinconia… nel “risentire” la tua fragranza delicata, nel “rivedere” il tuo gentile garbo. Dolci essenze e immagini sfumate… di un passato lontano eppur scolpito, eco acuto di struggente nostalgia… che come un sibilo risuona… tra sinuosi colli ed alte vette, per fermarsi e riposare… nelle profonde e segrete gole del mio cuore.
La malinconia, sentimento dolce che ti prende, quando pensi a qualcosa o a qualcuno che non c'è più. Arriva all'improvviso, quando ascolti un suono famigliare, quando annusi un odore conosciuto, e tutto ciò ti riporta alla mente e nel cuore, situazioni e persone che non sono più con te. Ed in silenzio, vivi intensamente questo dolce e profondo sentimento che è la malinconia.
Basta col seminare ai piedi dei fanciulli l'odio e l'indifferenza. Nutriti con veline e videogiochi crescendo all'ombra di Vegeta, smarrita hanno la via del vecchio campo di periferia. Lì, dove due pietre son l'unica meta per infilar la palla ed esultare. Non più un abbraccio tra teneri bambini, non più una zuffa per non restare in porta. Tutto diventa serio anche se hai pochi anni. Stronchiamo i messaggini, le fascinose chat. Stringiamogli le mani, portiamoli nei prati a chiacchierare insieme gaurdandosi negli occhi. Indi poi incontro al buio, sotto le amiche coltri, senza televisore, attiveranno i sogni di chiacchiere e pallone.
La società di oggi stà distruggendo l'innocenza dei bambini. Quel periodo felice che resta nei ricordi di tutti quelli che hanno avuto la fortuna di poter fare i "bambini". Una fase dell'esistenza dove davvero prevalgono i buoni sentimenti, dove ancora si vive in funzione dell'amore. Se distruggiamo i "bambini" distruggiamo l'amore. Ecco il grido che traspare in questi versi. Educhiamo i bambini all'amore, distogliamoli da tutto ciò che li allontana dalla loro fantastica innocenza, solo per il gusto di vederli "grandi" prima degli altri. Salviamo i BAMBINI.
Mimosa,doce doce staie nascenno sott''o cielo ceroggèno 'e fevraro; n'aceno arape e n'ato staie schiudenno, goccia pe goccia sgrane nu Rusario... Primmavera ca tuorne cu 'a poesia; no, nun è ggrano, sta campagna è oro; mille culure dinto a ll'uocchie e 'a luce, sceta d''e suonne 'a musica d''a vita... N'angelo senza scelle sta vulanno; s'appiccia cu 'e culure 'a fantasia; cadono fronne 'e mare pe sta via... arde 'a cannela dint''a na buscia... Zingara, faccia d'angelo, malìa, scesa d''o Paraviso pe magìa. Rosa sfrunnata d''o chiarore 'e luna ca torna a me, c''o viento d''a furtuna...
Questa poesia non avrebbe bisogno dell'introduzione alla lettura perchè molto semplice. Sono sensazioni che sgorgano spontanee quando fermo al balcone, circondato da alberi primaverili a fine febbraio, dove bastano due giornate di sole per far fiorire le mimose, uno resta estasiato a commentare questo miracolo della natura. I pensieri si accavallano, la fantasia lavora e pensi a qualcuna che non è al momento accanto a te però è presente e vicina. Di conseguenza vai a fare l'analisi di un rapporto che grazie a Dio, non è sempre negativo ma qualche volta puo' essere anche con fini ottimistici e ne tiri le somme semmai mettendo su carta delle immagini raffiguranti momenti del rapporto stesso. In questa poesia penso ci sia tutto in fatto di rapporto ossia, Fede, Estasi, ammirazione, qualche dubbio ma la conclusione è positiva. A Voi, cari amici il parere, il giudizio, quello che volete. Grazie.
Postata nei commenti trovate la traduzione letterale e non poetica della Poesia ZINGARA a cura dello stesso autore.
Io abito negli occhi di un bambino dell’Africa, abito nei confini dei tuoi muti deserti.. Io abito sulle lacrime che rigano il tuo volto, nelle profondità abissali di un vecchio ricordo, Abito negli scantinati maleodoranti, dove come bestie, si rifugiano i clandestini. Io abito nei cartoni della notte, dove i clochard si riparano dal freddo. Io abito dietro le sbarre dei carcerati, dove il cuore isolato... chiede perdono a chi ha amato. Io abito nelle preghiere di chi crede, per consolare gli afflitti. Io Esisto per tenderti una mano E donarti il regno dei cieli… Io sono Dio.
Non commento, perchè si commenta da sola! Sonia Demurtas Tratto del libro "Oltre l'amore" - ALETTI Editore.
Fermo respiro ascolta il tuo su auloròsa pelle del ricordo, veloci ritmi emozionali , palpiti d’anima notturna sola come libero aquilone reciso dal suo filo di passione, seduto su nube di cuscino enfiato da tenere lacrime e morbide orazioni. E verrà la luna a rapire il canto del silenzio pel suo mar della tempesta. E sola resterò coi muti tuoi sorrisi di pace: e sarà giorno!
" Ho scritto questi versi nel silenzio della notte, trattenendo il respiro percepivo il profumo della pelle amata di chi m'ha lasciato per cieli nuovi e terra nuova, e nell'emozione sentivo veloci i palpiti dell'anima. piangevo e pregavo libera come un aquilone sfuggito dalle dita d'un fanciullo distratto; svincolata da lacci e terrene passioni . Il mio silenzio non è nemico, ma un canto di dolci rimembranze, e quando da dietro la finestra guardo la luna, s'interrompe il canto: è stata lei a rapirlo per pacificare il suo mar della tempesta dove confluiscono tutte le umane tragedie. Resto sola coi sorrisi nel cuore del mio amato, e la certezza che "sarà giorno"! La 'e' scritta in un solo verso e perciò staccata da 'sarà giorno' vuole per l'appunto indicare non la speranza, ma l'assoluta sicurezza della luce a divenire"
Un dì m’accorsi d’essermi perduta mentre vagava l’anima mia fra i sensi d’un tratto l’armonia si fece muta si spensero quei giorni fatui e melensi l’eden m’avea accolta un dì lontano stordito s’era il cor di tanto ardore ignara m’inoltravo piano piano nell’incantato bosco dell’amore donai anima e corpo senz’indugio certa che il fato fosse un re clemente giammai cercai riparo né rifugio scevra d’inganni abbandonai la mente mille o più di mille furon quei baci quelle carezze languide e suadenti magiche notti scandevan ore audaci l’oblio fluttuava libero tra i venti non seppi allor capir colui chi fosse quel volto che m’avea sì tanto amata cosparsa m’ebbe la via di rose rosse io gli credetti e fui così dannata passaron sul mio corpo i mesi e gli anni lasciando i segni delle vane attese la gioia cedette il posto a quei malanni il cor s’inaridì ma non s’arrese fuori dall’uscio stetti come un cane fedele attesi briciole di vita m’accontentai di acqua e poco pane riempir la ciotola per lui fu cosa ardita negate allor mi furon le speranze sgorgaron dai miei occhi lagrime amare cessò la melodia con le sue danze rimasi sola avvinta al mio fervore furon momenti d’atroce smarrimento fitti quei rovi m’infliggean dolore il corpo mio fu avvolto dal tormento trovai il coraggio e strappai dal petto il cuore.
La poesia è tratta dal libro "Viaggio autobiografico nel paranormale". Questa poesia come le altre facenti parte del capitolo dedicato alla scrittura automatica e alle poesie ispirate, è stata da me composta in uno stato d'estasi e in pochi secondi senza riflettere, né sapere cosa stavo scrivendo, come se qualcuno mi dettasse quei versi che scaturivano senza sosta dalla mia penna. Contemporaneamente alla scrittura, nella mia mente si avvicendavano le immagini che poi ho ritrovato nel testo del componimento.
Te scordi ogni tanto de avella E soprattutto non te ricordi mai de falla Fai schifo dietro all’ombra der bastone Te degni de fà solo er padrone Ricordete pero’ omo leggero Che un giorno sarai tu er passeggero E sì ppè caso guido io Vendichero la fame a nome mio Ma siccome de te so’nfame manco a metà Sicuramente me scapperà a pietà.
Sono Spesso disturbato, annoiato e stanco delle solite notizie, del buonismo della finzione nascosta e coperta da atteggiamenti COLORATI. Poi per strada leggo il nome di questa via, e piu’ di mille bandiere, esplode un sentimento uno “strillo” un basta, ma lo so’ NUN BASTA”. Lo zozzo è indelebile.
Non ho tante parole, per questo ho scritto la poesia. Fabrizio DI PALMA.
Sola vago nella nebbia mattutina, ed il mio viso si confonde, la mia anima si perde… tra campi umidi… di gocce di rugiada, tra delicati fiori sonnolenti, che ancora, chiusi ed abbracciati, si riparano dalle prime intemperie, dell’ancor mite… e dolce freddo della notte.
E sempre sola, mi addentro cauta… lasciando un’ombra opaca, una leggera scia di malinconia… in questa bruma autunnale, che diventa, sempre più fitta e spessa, e mi riveste, mascherando il mio profilo, ormai quasi invisibile ed etereo, sfumando lentamente nell’oblio, i miei pensieri, le mie parole… i ricordi del mio cuore.
A volte, quando i ricordi non sono solo ricordi sereni, che ci fanno star bene, ma sono ricordi che ancora ci turbano nel profondo; ecco quando questi ricordi ci fanno star male, allora vorresti sparire, sfumare lentamente nella nebbia, e rinascere in una nuova vita oltre la nebbia, dove un sole splendente ci accoglie, cancellando e lasciando indietro ciò che ancora turba il nostro cuore.
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